Federico Blangiforti

Due parole su un animo gentile

Federico Mario Blangiforti
Disegno di Simone Arestia
Federico e Deadpool a Londra

Come si fa a raccontare in poche righe, per quanto sia stata breve, la vita di una persona? Sedici anni intensi, sedici anni di cose fatte, di forti emozioni provate, di progetti destinati a non conoscere mai una realizzazione, di un futuro, come diceva Guccini, “dove ancora tutto, o quasi tutto, era da sbagliare…”
Federico Mario Blangiforti non è, non può essere, solamente quello che un venerdì mattina d’autunno ha scelto di andare via, Fede era molto altro. A partire dai suoi cento nomi che si era dato: Fede, Federonzolo, Fedegigio, Fede no Gi e mille altri non tutti esprimibili con semplici suoni umani.
Noi famiglia, genitori e sorella, abbiamo conosciuto solo alcuni dei suoi volti. I ragazzi sono polièdri che mostrano una faccia alla volta e solo quando e a chi ritengono degno di poter comprendere. Quando questo non accade (nel caso di Federico pochi ma fondamentali casi, tra i quali un paio di insegnanti), i ragazzi lasciano perdere e si rivolgono altrove, al loro mondo fatto di persone vere e pure, alcune reali altre no. Federico si poteva trovare a suo agio solo in un mondo fatto di cose sincere.
Quello che abbiamo conosciuto del nostro caro era solo una parte della sua personalità. Altri hanno avuto modo di scorgerne altri tratti. Innanzitutto i Dishwashers, i suoi amici, quelli con i quali condivideva interessi e desideri: Andrea Baglieri, Angelo Carnemolla, Lorenzo Caschetto, Marco Chessari, Enrico Dipasquale, Antonino Guarino, Giulio Nobile e Flavio Piccione. E Mattia Picciolo, Marco Campo, Davide Parisi, Luca Iacono e Davide Gulino. A loro va tutta la nostra riconoscenza.
Tra le tante cose che hanno dato senso alla sua corta esistenza c’erano le sue passioni, le cose che lo hanno reso quel che noi, suoi familiari, i suoi amici, i suoi insegnanti abbiamo compreso e imparato a conoscere. Non so se questa sorta di agiografia laica lo avrebbe indispettito o inorgoglito, in fondo era poco più che un bambino curioso, ancora sul punto di aprirsi al mondo, ma per noi, suoi familiari, restituirlo agli altri nella sua molteplice natura è un imperativo morale.
Fede era un ragazzo di rara sensibilità, affettuoso e rispettoso. Questi aggettivi possono sembrare desueti, fuori posto, incongrui riferiti a un ragazzo che amava i manga e i fumetti, quei prodotti spesso associati dal mainstream culturale alla violenza, visti da una contorta psicologia come pericoli per i più giovani. Sciocchezze. Bisogna dirlo a profitto dei profani, proprio grazie ai manga, ai fumetti e agli anime (oltre che agli esempi offerti dalle straordinarie persone che ha avuto la fortuna di incontrare sulla sua breve strada) Fedegigio ha saputo costruire un sistema valoriale solido, forse troppo rigido, dove l’amore e la gentilezza non erano affatto segni di debolezza, ma erano vocazione e occasione di esistenza piena e di allegra vitalità. Sì, perché Federico era allegro, tanto allegro che ancora oggi il ricordo della sua gioia riscalda il cuore di chi gli ha voluto bene. Non era un hikikomori, non fuggiva il mondo, la sua dimensione era quella sociale, amava visceralmente stare con gli altri, anche quelle rare volte che fisicamente non poteva. Per lui, come per molti adolescenti del III millennio, il virtuale è un altro modo di vivere il reale, intenso e vero.
Federico amava viaggiare, cercava un posto dove essere felice, respirare la solitudine per ritrovare se stesso, ritrovarsi solo per imparare a contare sulle sue forze.
Lui leggeva tanto, libri, manga (e gli amici della fumetteria Second Life lo sanno bene), guardava anime e serie, costruiva e immaginava, traduceva fumetti e cartoni dall’inglese per poi ripostarli per gli altri. E scriveva, con uno stile asciutto che di rado hanno i ragazzi. Gli piaceva disegnare, ballare e cantare (anche se ne aveva grande pudore, specie davanti agli adulti), rideva, gli piaceva ridere e raccontare. Vestirsi come i suoi eroi di carta, il cosplay, non smetteva mai di progettare e desiderare l’avventura nelle kermesse del fumetto: Arcadia Comics & Games, Etna Comics, Romics, Comicon, Lucca Comics… Un giorno sarebbe andato ad Angoulême, ma non c’è stato il tempo, non si è voluto dare tempo. Sapeva raccontare nei minimi dettagli le cose, e gli piaceva tantissimo essere ascoltato e compreso. Era uno spasso parlare con lui, guardare le sue lunghe dita che disegnavano nell’aria i suoi sogni, riflettersi in quegli occhi neri e profondi, farsi ammaliare dal suo sorriso accattivante e ascoltare parole che si inerpicavano in costruzioni linguistiche mai banali, complesse e sorprendenti. Amava “esibirsi”, parlare in pubblico, viaggiare e condividere con gli altri le proprie esperienze, coinvolgerli nelle proprie emozioni. Complesso e apparentemente contraddittorio, questo era, è e sarà il nostro Federico Mario Blangiforti, per sempre. E così lo vogliamo ricordare.

Antonella, Carlo e Doralice